Sono quasi due anni che contribuisco alla costruzione del percorso Meetup. Il termine è voluto, ritengo renda perfettamente l'idea di un percorso formativo ed esistenziale, che mi porterà (e con me tutti i miei compagni d'avventura) a compiere alcune tra le scelte più importanti della mia vita. La prima, quella di non nascondere la testa sotto la sabbia, l'ho già oltrepassata. Adesso bisogna proseguire il cammino.
Da due anni a questa parte ho sempre cercato di dare il meglio, nella buona e nella cattiva sorte, nelle frenesìe, nelle incomprensioni e nei confronti diretti, ai quali non ho mai osato sottrarmi.
Ci sarebbe da chiedersi cosa spinge un individuo ad esserci e a crederci così intensamente.
Non credo si tratti soltanto della necessità di informarsi, di sapere e conoscere, di scavare a fondo, senza fermarsi alla prima "verità". La cosa più importante, che ho imparato a comprendere con il trascorrere del tempo, è ciò che viene dopo. Sono le persone che questo percorso ti permette di incontrare. Un numero in continua crescita di anime senza età, con la forza di guardare sempre avanti e dalle idee in grado di cambiare il mondo in un istante. Persone che ti danno la sicurezza di non essere solo. Paul Connett è una di queste.
Docente di Chimica Ambientale presso la St. Lawrence University di New York, è ad oggi uno dei più importanti esperti in materia di gestione dei rifiuti a livello mondiale, nonchè massimo teorico della strategia Rifiuti Zero. Spesso in Italia, Paese che ama visceralmente, compie viaggi nella penisola invitato in ogni parte della nazione per diffondere questa nuova coinvolgente filosofia. Ieri, nella sua tappa bresciana, è stato ospite del nostro Meetup. Una circostanza che mi rende straordinariamente fiero ed orgoglioso. Un'organizzazione impeccabile, dalla visita pomeridiana all'inceneritore fino alla conferenza serale e alla conclusione in vineria. Il 2008 mi regala un primo ricordo da conservare.
Paul Connett è una di quelle persone che quando hai modo di conoscerle ti rimangono dentro. E' come se una parte di loro entrasse dentro di te, per mantenere forte il legame che si è creato in così breve tempo, in attesa di assaporare il piacere di incontrarsi ancora, momento che in cuor tuo speri arrivi il prima possibile, perchè hai scoperto di avere un dannato bisogno di quei sorrisi, di quelle risate in compagnia, di quei contenuti e concetti così alti, espressi con semplicità e chiarezza sconvolgenti. Una forza che ti investe come un fiume in piena, ti contagia con la sua schiettezza, quasi infantile, e la voglia estrema di coltivare rapporti umani fino a quando il tempo lo consentirà.
Ti regalano qualcosa, queste persone, qualcosa di importante. Una virtù insperata, il coraggio di compiere scelte che prima non avresti immaginato di avere.
Doctor Paul ha tenuto ieri sera una lezione di vita, non una semplice conferenza. L'argomento affrontato, "Rifiuti Zero", va così interpretato. E' voglia di vivere, e di tornare a vivere in un mondo che sembra non appartenerci.
Una sala stracolma (tra le 250 e le 300 persone) è rimasta per oltre un'ora e mezza ad ascoltarlo parlare. In piedi o seduti, coinvolti dal quell'istrionico personaggio, abbiamo assistito alla meravigliosa esecuzione di una sinfonia dedicata alla nostra memoria e al nostro futuro.
Rifiuti Zero è la soluzione, l'unica in grado di ricondurre dignità e benessere.
Cittadini, aziende ed amministratori pubblici: tre responsabilità che devono camminare fianco a fianco, insieme, per risolvere a monte il problema dello smaltimento dei rifiuti. Riduzione, la parola d'ordine.
Raccolte differenziate porta a porta con tariffe puntuali, riciclaggio e compostaggio; uso, riuso, scambio e regalo degli oggetti; prodotti senza imballaggio, "alla spina" e biodegradabili, o ideati in modo da poter essere recuperati in ogni minima parte; non demolizioni, ma decostruzioni; incentivi e coinvolgimento delle responsabilità chiamate ad intervenire.
Il mondo in cui viviamo ci chiede di tornare a vivere, non di farsi incenerire.
Questa è Rifiuti Zero.
Grazie al Prof. Connet. Grazie per il solo fatto di esistere, grazie se oggi sappiamo che ciò che sosteniamo non sono sogni, ma fatti concreti, reali, per i quali credere non è solo un'eventualità, ma un dovere.
Con quel gusto rabbioso e un po' nevrotico di urlare al cielo nella nostra stanza: "cazzo, ci sono anche io in questo mondo. E posso fare qualcosa".
Grazie a Giulia, fiera componente del Gruppo Ambiente/Immondezzai.
Grazie a Chicco, interprete piacevole da ascoltare, la cui saltuaria presenza mi ha concesso di rispolverare un inglese mai sopito. E grazie agli altri meravigliosi ragazzi del Meetup che hanno contribuito a rendere possibile questo fantastico evento, anche solo con la loro presenza.
Grazie a tutti coloro che c'erano, e che ci saranno in futuro. Perchè questo è ciò che conta. Esserci.
Esserci tutti, sempre coinvolti, magari anche un po' estasiati, senza vergogna di dirlo. Come il sottoscritto, due minuti dopo il primo contatto con Paul Connet, avvenuto poco prima di accompagnarlo, con una squadra di indomiti grilli bresciani, nel ventre di un inferno in grado di fagocitare quasi un milione di tonnellate di materia all'anno, dicendole addìo per sempre. Per molti un modello da seguire. Per Paul Connet - e per me - un episodio da dimenticare, magari cantando una canzone, in maniera spensierata, così come si scaccia il peggiore degli incubi.
Adrian was there
domenica 27 gennaio 2008
martedì 1 gennaio 2008
Primo gennaio
Il primo gennaio è sempre il primo gennaio. Anche perchè è difficile che riesca ad essere contemporaneamente un altro giorno. Sarebbe stupefacente.
Con il primo gennaio la depressione che puntualmente mi coglie a Natale scivola via come neve al sole. Se ne va, lasciandomi libero. Per un giorno. E forse anche per altri, non mi è dato saperlo.
Quello che so è che in questo giorno mi sento bene. Sempre. Mai trascorso un primo gennaio nella tristezza. Respiro senza affanni, mando affanculo senza pensieri, me ne fotto del mondo e lui se ne fotte di me. Fra noi due, per qualche istante, è tregua.
Il primo gennaio è la più esclusiva fra le prime volte. Più del primo amore, del primo orgasmo, del primo concerto, del primo tocco di palla in una partita di calcio fra amici. Si ripete sempre.
E' come rinascere, risorgere a nuova luce. E' alzare la testa dall'acqua e trarre un profondo respiro dopo un'interminabile periodo di apnea. E' rincorrere un tornado di emozioni che vorresti vivere in ogni momento, nell'anno appena iniziato.
Il primo gennaio non tradisce. Mai. C'è sempre e sempre ci sarà, per tutti. E a tutti verrà data un'occasione - dovesse durare anche un solo istante - per dimenticare, o per conservare i ricordi più intensi. E da lì ricominciare, costruire, sognare, fra nuove speranze e caparbie illusioni.
In questo primo gennaio riscopro due ricordi, due immagini dell'anno appena trascorso, che porterò con me per lungo tempo e sui quali ho intenzione di costruire qualcosa. Qualcosa di importante.
Il primo ricordo è la luce del sole. Quella che sabato 8 settembre rasentava le migliaia di teste dei cittadini bresciani accorsi in piazza per partecipare al V-Day promosso da Beppe. Quel giorno ho visto esplodere tutta la mia esasperazione, rabbia, solidarietà, fiducia, tenacia, voglia di cambiare le cose. Un fiume in piena, devastante, mi ha colto senza darmi il tempo di reagire. Un urlo a squarciagola diretto al cielo, senza fermate intermedie. Quel giorno ho urlato al mondo che esistevo anch'io. E che posso fare qualcosa. E' un'immagine che conserverò per ciò che mi attende, per quello che la vità mi riserverà. Per il mio futuro. Per come voglio che sia. Oggi mi sento più forte, e voglio che il mio futuro lo sappia.
La seconda istantenea è la diga del Vajont, di notte. Sono circa le dieci di sera, in quel lontano 9 ottobre 1963, quando l'acqua tracima dal bacino della valle per schiantarsi su Longarone, portandosi via migliaia di esseri umani. Con gli altri compagni del viaggio che ho compiuto a fine ottobre ho cercato di immaginare il fragore dell'onda contro la montagna, e il tonfo della terra, e degli alberi, e delle rocce che cadevano. E il vento, le gocce finissime, che anticipavano l'immane massa d'acqua che di lì a poco avrebbe compiuto l'ecatombe. Un massacro stupido, inutile, in nome del profitto, dell'interesse, di ghigni perversi, senza vita. Di troie dell'anima. Ma è un passato che non vuol morire, ed è vivo ancora oggi, lo sento più che mai. Le disgrazie di un tempo così vicino non ci hanno insegnato nulla. la frana del Vajont siamo noi, tutt'oggi, e continuiamo a cadere. Ho deciso di imprimere questa esperienza dentro di me. Per non dimenticare.
E' il primo gennaio. E nel cuore ho sempre lei, uno dei pochi ricordi che non se ne andrà mai, finchè avrò vita. Quel bacio che le diedi in un'aria di pioggia in arrivo, in piena notte, alla fine di un'estate trascorsa a rincorrerla. Chissà se avrò mai il coraggio di raggiungerla di nuovo.
Chissà cosa mi riserverà il nuovo anno.
Oggi è il primo gennaio.
Adrian is there.
Con il primo gennaio la depressione che puntualmente mi coglie a Natale scivola via come neve al sole. Se ne va, lasciandomi libero. Per un giorno. E forse anche per altri, non mi è dato saperlo.
Quello che so è che in questo giorno mi sento bene. Sempre. Mai trascorso un primo gennaio nella tristezza. Respiro senza affanni, mando affanculo senza pensieri, me ne fotto del mondo e lui se ne fotte di me. Fra noi due, per qualche istante, è tregua.
Il primo gennaio è la più esclusiva fra le prime volte. Più del primo amore, del primo orgasmo, del primo concerto, del primo tocco di palla in una partita di calcio fra amici. Si ripete sempre.
E' come rinascere, risorgere a nuova luce. E' alzare la testa dall'acqua e trarre un profondo respiro dopo un'interminabile periodo di apnea. E' rincorrere un tornado di emozioni che vorresti vivere in ogni momento, nell'anno appena iniziato.
Il primo gennaio non tradisce. Mai. C'è sempre e sempre ci sarà, per tutti. E a tutti verrà data un'occasione - dovesse durare anche un solo istante - per dimenticare, o per conservare i ricordi più intensi. E da lì ricominciare, costruire, sognare, fra nuove speranze e caparbie illusioni.
In questo primo gennaio riscopro due ricordi, due immagini dell'anno appena trascorso, che porterò con me per lungo tempo e sui quali ho intenzione di costruire qualcosa. Qualcosa di importante.
Il primo ricordo è la luce del sole. Quella che sabato 8 settembre rasentava le migliaia di teste dei cittadini bresciani accorsi in piazza per partecipare al V-Day promosso da Beppe. Quel giorno ho visto esplodere tutta la mia esasperazione, rabbia, solidarietà, fiducia, tenacia, voglia di cambiare le cose. Un fiume in piena, devastante, mi ha colto senza darmi il tempo di reagire. Un urlo a squarciagola diretto al cielo, senza fermate intermedie. Quel giorno ho urlato al mondo che esistevo anch'io. E che posso fare qualcosa. E' un'immagine che conserverò per ciò che mi attende, per quello che la vità mi riserverà. Per il mio futuro. Per come voglio che sia. Oggi mi sento più forte, e voglio che il mio futuro lo sappia.
La seconda istantenea è la diga del Vajont, di notte. Sono circa le dieci di sera, in quel lontano 9 ottobre 1963, quando l'acqua tracima dal bacino della valle per schiantarsi su Longarone, portandosi via migliaia di esseri umani. Con gli altri compagni del viaggio che ho compiuto a fine ottobre ho cercato di immaginare il fragore dell'onda contro la montagna, e il tonfo della terra, e degli alberi, e delle rocce che cadevano. E il vento, le gocce finissime, che anticipavano l'immane massa d'acqua che di lì a poco avrebbe compiuto l'ecatombe. Un massacro stupido, inutile, in nome del profitto, dell'interesse, di ghigni perversi, senza vita. Di troie dell'anima. Ma è un passato che non vuol morire, ed è vivo ancora oggi, lo sento più che mai. Le disgrazie di un tempo così vicino non ci hanno insegnato nulla. la frana del Vajont siamo noi, tutt'oggi, e continuiamo a cadere. Ho deciso di imprimere questa esperienza dentro di me. Per non dimenticare.
E' il primo gennaio. E nel cuore ho sempre lei, uno dei pochi ricordi che non se ne andrà mai, finchè avrò vita. Quel bacio che le diedi in un'aria di pioggia in arrivo, in piena notte, alla fine di un'estate trascorsa a rincorrerla. Chissà se avrò mai il coraggio di raggiungerla di nuovo.
Chissà cosa mi riserverà il nuovo anno.
Oggi è il primo gennaio.
Adrian is there.
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