Il primo gennaio è sempre il primo gennaio. Anche perchè è difficile che riesca ad essere contemporaneamente un altro giorno. Sarebbe stupefacente.
Con il primo gennaio la depressione che puntualmente mi coglie a Natale scivola via come neve al sole. Se ne va, lasciandomi libero. Per un giorno. E forse anche per altri, non mi è dato saperlo.
Quello che so è che in questo giorno mi sento bene. Sempre. Mai trascorso un primo gennaio nella tristezza. Respiro senza affanni, mando affanculo senza pensieri, me ne fotto del mondo e lui se ne fotte di me. Fra noi due, per qualche istante, è tregua.
Il primo gennaio è la più esclusiva fra le prime volte. Più del primo amore, del primo orgasmo, del primo concerto, del primo tocco di palla in una partita di calcio fra amici. Si ripete sempre.
E' come rinascere, risorgere a nuova luce. E' alzare la testa dall'acqua e trarre un profondo respiro dopo un'interminabile periodo di apnea. E' rincorrere un tornado di emozioni che vorresti vivere in ogni momento, nell'anno appena iniziato.
Il primo gennaio non tradisce. Mai. C'è sempre e sempre ci sarà, per tutti. E a tutti verrà data un'occasione - dovesse durare anche un solo istante - per dimenticare, o per conservare i ricordi più intensi. E da lì ricominciare, costruire, sognare, fra nuove speranze e caparbie illusioni.
In questo primo gennaio riscopro due ricordi, due immagini dell'anno appena trascorso, che porterò con me per lungo tempo e sui quali ho intenzione di costruire qualcosa. Qualcosa di importante.
Il primo ricordo è la luce del sole. Quella che sabato 8 settembre rasentava le migliaia di teste dei cittadini bresciani accorsi in piazza per partecipare al V-Day promosso da Beppe. Quel giorno ho visto esplodere tutta la mia esasperazione, rabbia, solidarietà, fiducia, tenacia, voglia di cambiare le cose. Un fiume in piena, devastante, mi ha colto senza darmi il tempo di reagire. Un urlo a squarciagola diretto al cielo, senza fermate intermedie. Quel giorno ho urlato al mondo che esistevo anch'io. E che posso fare qualcosa. E' un'immagine che conserverò per ciò che mi attende, per quello che la vità mi riserverà. Per il mio futuro. Per come voglio che sia. Oggi mi sento più forte, e voglio che il mio futuro lo sappia.
La seconda istantenea è la diga del Vajont, di notte. Sono circa le dieci di sera, in quel lontano 9 ottobre 1963, quando l'acqua tracima dal bacino della valle per schiantarsi su Longarone, portandosi via migliaia di esseri umani. Con gli altri compagni del viaggio che ho compiuto a fine ottobre ho cercato di immaginare il fragore dell'onda contro la montagna, e il tonfo della terra, e degli alberi, e delle rocce che cadevano. E il vento, le gocce finissime, che anticipavano l'immane massa d'acqua che di lì a poco avrebbe compiuto l'ecatombe. Un massacro stupido, inutile, in nome del profitto, dell'interesse, di ghigni perversi, senza vita. Di troie dell'anima. Ma è un passato che non vuol morire, ed è vivo ancora oggi, lo sento più che mai. Le disgrazie di un tempo così vicino non ci hanno insegnato nulla. la frana del Vajont siamo noi, tutt'oggi, e continuiamo a cadere. Ho deciso di imprimere questa esperienza dentro di me. Per non dimenticare.
E' il primo gennaio. E nel cuore ho sempre lei, uno dei pochi ricordi che non se ne andrà mai, finchè avrò vita. Quel bacio che le diedi in un'aria di pioggia in arrivo, in piena notte, alla fine di un'estate trascorsa a rincorrerla. Chissà se avrò mai il coraggio di raggiungerla di nuovo.
Chissà cosa mi riserverà il nuovo anno.
Oggi è il primo gennaio.
Adrian is there.
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