giovedì 9 ottobre 2008
Ritorno al Vajont
Dopo lungo, lungo tempo, torno finalmente a scrivere.
Sabato 4 ottobre sono tornato a Longarone. I compagni di viaggio erano radicalmente cambiati. Questa volta ho avuto il piacere di condividere l'esperienza con Giampietro, altro fiero componente del Meetup di Brescia, alla prima esperienza con il Vajont.
Per me è stata la seconda visita, a distanza di quasi un anno dalla prima. E le emozioni si sono moltiplicate a dismisura.
Ogni anno, nel fine settimana che precede l’anniversario della strage, alcuni superstiti e parenti delle vittime organizzano una veglia nei pressi della diga, per celebrare il ricordo dei cari estinti.
Quest’anno, nel quale ricorre il 45° anniversario della strage, ho avuto l’onore di partecipare. Lo considero un onore, sì. Perché trascorrere anche pochi istanti, in silenzio, al fianco di anime di tale straordinaria umanità, sensibilità e rispetto, è per me un tesoro di inestimabile valore. Ogni sguardo è una lezione di vita, ogni gesto un cenno da emulare e condividere, ogni parola è saggezza da conservare.
Eravamo in oltre quaranta persone, lassù. Bambini, madri, padri, ragazzi, nonni, coppie. Tra queste anime Lucia Vastano, giornalista dal carattere forte e tenace, autrice del libro inchiesta "Vajont, l’onda lunga", e Mario Pozzobon, superstite che ci fece da guida la volta precedente e che nella strage ha perduto il senso di un’esistenza. Un’intera famiglia spazzata via. La notizia che lo raggiunge quando è fuori da Longarone, la corsa a casa. Che non c’è più. E nessun sostegno al quale appigliarsi. La solitudine che ti lascia per terra, inerme, incapace di rialzarti. Come lui tanti, tantissimi altri.
Siamo rimasti lì per ore, davanti ad un fuoco scoppiettante, ininterrotto. Giacche a vento, sciarpe, guanti, tutto per resistere ad un freddo che penetrava fin nelle ossa. La diga, la storia, noi. Niente avrebbe potuto allontanarci da quel momento di intensa condivisione.
Abbiamo ascoltato impietriti le agghiaccianti storie e le ingiustizie che i superstiti hanno dovuto subire in tutti questi anni, come se la disgrazia, la perdita dei propri cari, il dolore della solitudine forzata e l'aver perso la speranza di andare avanti non fosse stato abbastanza.
Lo Stato Italiano fece subito sentire la propria immancabile presenza-assenza, soprattutto nel momento in cui si dovevano tirare le somme per i risarcimenti ai superstiti, ponendosi il vero obiettivo: come sbrigare la pratica pagando il meno possibile.
La pioggia di soldi destinata alla ricostruzione. La corsa alle licenze. Aziende arrivate da luoghi lontani, che nulla avevano a che fare con il Vajont, fecero fuoco e fiamme pur di accaparrarsi i terreni per costruire e ricostruire. Il progresso e lo sviluppo facevano il loro tronfio ingresso sulla scena, fra quelle valli, facendosi fregio di un sacrificio che si contava su quasi duemila anime scomparse.
Tutto, di quanto è accaduto da quella tragica notte ad oggi, ci comunica la volontà di uomini senz'anima di sopprimere il ricordo, imponendo l'obbligo di dimenticare, a beneficio di interessi personali, di perversi accomodamenti.
Abbiamo ascoltato le loro parole in silenzio, con profondo rispetto per il loro immenso dolore.
Sono arrivati a raccogliere 30.000 firme, portandole a piedi direttamente a Roma, al Presidente della Repubblica Napolitano, perchè i responsabili della strage, tra cui lo Stato Italiano e l'ENEL, riservassero loro finalmente le scuse di una vita, pace dei ricordi, mai arrivate in 45 anni. Una raccolta che chiedeva a gran voce l'istituzione di una giornata per la memoria, per commemorare tutti i disastri ambientali causati dall'uomo. Niente da fare. Per questo genere di richieste non c'è spazio nè tempo.
Eravamo tutti lì, a raccontarci attorno al fuoco. Tutti accomunati da un unico sentimento: la speranza di non dover mai vivere un'esperienza del genere. Ma con la voglia di condividere, raccontare e rinverdire un passato che tanto, tanto ancora ha da insegnarci. Esattamente come l'oggi in cui viviamo.
La domenica seguente, centinaia di palloncini colorati sono volati in cielo. Ognuno di essi recava con sé un messaggio, scritto da un bambino e dedicato ad un altro bambino, uno dei 465 morti l'8 ottobre del 1963. I bambini hanno chiesto che non venga mai più causata una disgrazia come quella del Vajont.
Poi è giunto il momento dei saluti. Ciao, Mario. Ciao Lucia. Ciao Carolina. Non vi lasciamo. Il nostro è un arrivederci. Troppi sono i ricordi che vanno preservati, non possiamo abbandonarvi.
Una signora ci si è avvicinata porgendoci le sue scuse.
"Perché ci chiede scusa, signora?"
"Perché vi abbiamo regalato questo mondo. Perdonateci, ragazzi".
La sera, al ritorno a casa, ho pianto.
Il disastro del Vajont rappresenta tutto ciò contro il quale combattiamo ogni giorno. Dagli interessi alle negligenze, all'opportunismo, alla politica subordinata all'economia.
Quella disgrazia è il simbolo di ciò che non saremmo mai dovuti diventare. Eppure lo stiamo diventando, inesorabilmente, o lo siamo già diventati. Non avremmo mai dovuto farlo, la natura ce lo disse allora, ma oggi nulla è cambiato. Non è un caso che non si voglia ricordare un'evento del genere. Il rischio è quello di delegittimare la merda che vediamo attorno a noi, di renderci conto dell'infimo livello che abbiamo raggiunto. Un pericolo per i soliti ignoti, i "pochi nei posti giusti". E' la prova storica che siamo stati portati intenzionalmente a diventare un Paese privo di memoria. Dopo oltre 40 anni non un cenno di cambiamento, anzi, la voragine è sempre più vicina, ci siamo già dentro.
Siamo noi la frana del Vajont. E continuiamo a cadere, a travolgere tutto ciò che incontriamo sul nostro cammino, senza limiti di decenza.
Eppure questo è il mondo che stiamo costruendo per loro. Per i nostri figli.
Dimenticare. Mai. Abbandonare, nemmeno.
Esserci. Sempre. E ci saremo.
Meetup. Enjoy.
Ps
Ho realizzato un video di questa meravigliosa esperienza. Il primo che abbia mai fatto in vita mia. Ci ho impiegato un giorno, ho perfino scoperto cos'è una "dissolvenza in entrata". Spero che il risultato sia soddisfacente. Per mio padre lo è stato, lo ha definito "emozionante, vero". E, in sincerità, tanto mi basta.
Adrian was there
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