martedì 20 novembre 2007

A futura memoria. La libertà che abbiamo, ce la siamo presa

Una settimana fa avevo il piacere di conoscere Sabina Guzzanti. Con macchina e capelli tirati a lucido per l'occasione, ero andato a prenderla a Milano assieme a Paolo, per scortarla poi a Brescia, affinchè partecipasse ad un evento organizzato dal nostro Gruppo MeetUp. Con lei c'era anche Romina, sua collaboratrice, addetta all'ufficio stampa dell'Ambra Jovinelli di Roma. Queste persone, assieme a Giulia, altra meravigliosa perla del MeetUp, mi hanno consentito di realizzare un piccolo sogno. Quello di vedere negli occhi lucidi di mia madre e mio padre la consapevolezza che la passione del proprio figlio per questa attività non è mal riposta, ma va coltivata, e con essa l'incitamento ad andare avanti, a non mollare, a tenere duro. Come forse poche volte nelle mia vita, quel giorno mi sono sentito fiero di me stesso.
Vi voglio bene, senza di voi non sarei niente.

Che esperienza stupenda.
Dopo il Vajont, un altro ricordo che porterò nel mio cuore per lungo tempo.
Ho visto la gente in piedi, o seduta per terra, ad empire un cinema vecchio stile, con platea e tanto di balconata, che con tutta quella gente sembrava ancora più grande, immenso. Un altro Nuovo Cinema Paradiso.
Saranno stati cinquecento posti, a stento. Un limite travolto dalle centinaia di persone accorse a vederla. Centinaia di persone che nel mio piccolo ho contribuito a portare lì, perchè avessero modo di ascoltare dal vivo la voce di un'artista che ogni giorno di più scopro essere eccezionale, forte e tenace.

Seppur in fretta e furia, fra dubbi e incertezze, abbiamo realizzato un'impresa.
La proiezione del film "Le ragioni dell'aragosta", l'ultimo di Sabina, il secondo dopo "Viva Zapatero!" e il dibattito a seguire, con lei presente in sala, sono stati un successo. Una sala gremita, entusiasta, con occhi solo per lei. Tutti ad ascoltarla raccontare aneddoti tratti dalla sua sconvolgente vicenda professionale, la soppressione di Raiot, uno dei molteplici casi di limitazione della libertà d'espressione che abbiamo avuto modo di scorgere negli ultimi anni. E poi il ricordo sentito di Enzo Biagi, di ciò che si perde e ciò che rimane dopo la sua scomparsa, della rabbia e della necessità di non lasciarsi andare, poichè i valori da difendere sono troppo importanti per gettare la spugna senza combattere. Infine l'elogio a tutti i Gruppi MeetUp, portavoci di una necessità - quella di muoversi in prima persona affinchè i propri diritti, la salute e il benessere divengano nuovamente le priorità indiscusse - mai percepita così intensamente.
E pensare che il film non sono riuscito nemmeno a vederlo. Nulla da lamentare, figuriamoci. Ho avuto l'onore di cenare con lei durante la proiezione. Un onore che tuttavia avrei preferito condividere con molti altri dei miei compagni, come Giulia, ma purtroppo non è stato possibile. Ci sarà il tempo di viverlo di nuovo, senza rimpianti.

Paolo ha pubblicato due estratti della serata. Li riporto di seguito.
- L'amor di patria;
- L'imitazione di Silvio Berlusconi.

Ho guardato la pellicola venerdì. E sarei già pronto a rivederla ancora, e ancora.
Inebriante, coinvolgente. E' un cuore che batte. E' una danza che aumenta di ritmo con il trascorrere dei minuti. E' di un'umanità meravigliosa.
La storia è quella di un gruppo di comici - quelli del programma cult Avanzi - che si ritrovano in un paesello sardo, Su Pallosu, per realizzare uno spettacolo che richiami all'attenzione il progressivo svilimento della pesca delle aragoste. E' in realtà una scusa, per tenderci la mano e camminare dentro noi stessi, in un'avventura che porta in grembo un respiro profondo, una folata di aria fresca, un urlo liberatorio che assieme a quello di altri si trasforma in canto, divenendo un inno all'importanza dei rapporti fra le persone, dei ricordi, della memoria, dei sentimenti, della volontà di andare avanti nonostante le avversità, della tenacia, della voglia di ricominciare. Insieme.

Ringrazio Sabina. Per le emozioni che ci ha fatto vivere e per quelle che arriveranno in futuro, per la rinnovata speranza che ci ha infuso. Ringrazio di cuore Paolo e Giulia, persone dal cuore limpido e splendido, che forse mai mi sarà possibile raggiungere. Senza di loro quest'avventura non avrebbe potuto avere luogo.

A futura memoria. La libertà che abbiamo ce la siamo presa (Da "Viva Zapatero!", di Sabina Guzzanti).

Adrian was there

domenica 11 novembre 2007

Enzo c'era


La mattina del 6 novembre, martedì, si è spento Enzo Biagi.
Era ricoverato in clinica da diversi giorni.
Quando sono venuto a saperlo ero in un bar, stavo bevendo un cappuccino. La notizia mi ha raggiunto per mezzo di un cronista radiofonico.
E' strano come ci si ricordi quasi sempre ciò che si stava facendo nel momento in cui si apprendeva un dramma. E' come se il tempo si fermasse, per rendere il ricordo ancora più indelebile nella tua memoria.

Per un attimo mi è mancato il respiro, mi sono sentito pesante, quasi affaticato. Lo sconforto è quello che mi ha colpito con maggiore efficacia, da subito.
Ero consapevole di aver perso qualcosa di importante.
Ho impiegato un po', prima di capire cosa fosse.
Non era solo l'uomo o il giornalista, che se n'era andato. C'era dell'altro.

Scrivere è una delle mie passioni più grandi.
Provo a raccontare le mie emozioni come fossero immagini da percepire, visivamente, e da conservare. Quello che cerco, in ciò che esprimo, è la speranza che altri possano condividere e trarre forza dalle mie parole. Sentirle proprie. Come quando ci si ritrova a pensare intensamente ad una parola od espressione in particolare, per sentirla dire da qualcuno che ti è accanto in quel preciso momento e sentirsi felici per l'aiuto quasi inaspettato, liberati di un peso.
Le mie parole sono strumenti che altri possono impiegare. E quando ciò avviene, non sono più soltanto io, divento loro stessi. Piango e rido con loro. Sono felice e mi indigno assieme a loro.

Non mi piace scrivere per me stesso. Lo reputo tempo perso. Ciò che scrivo lo rileggo una volta, anzi nemmeno.
Il pensiero che altri possano leggere di me mi fa stare bene, è come se stessi sempre parlando con qualcuno, senza mai rimanere solo. E' un modo per far fronte alla solitudine.
Forse avrei potuto fare il giornalista, forse no, non so.
Forse sono ancora in tempo per diventarlo.
Forse lo sono già.

Enzo Biagi è stato per me il giornalismo, ed anzi qualcosa che andava oltre.
Ne era l'essenza pura e assoluta.
Come aprire un dizionario, correre alla voce e trovare il suo nome a significarla.
Il momento in cui l'emozione personale diventa esperienza d'altri.
Il piacere dello scrivere le proprie sensazioni, certezze e titubanze.
La notizia e i lettori come unici editori.
La rincorsa dell'esperienza dal vivo, senza mai fermarsi. Perchè una notizia, prima di scriverla, riportarla o commentarla, va vissuta e si deve fare tutto quanto è in nostro potere pur di viverla.
E' lì, ferma, ci attende, non è una tesi da dimostrare, ma sostanza da raccogliere.
Bisogna renderla propria, comprenderla a fondo, per poi riproporla all'esterno.

Mi piace credere che Biagi vivesse le sue verità. Che le scoprisse ogni giorno, avvalorandole, rendendosene parte. Un uomo vero, semplice, sincero e leale, prima verso gli altri e poi nei confronti di sè stesso.
Un uomo costretto a pagare a caro prezzo l'amore per la sua professione e i suoi lettori. A futura memoria la sua esperienza di vita, perchè atti di violenza così efferata sulla libertà di espressione non vengano mai più compiuti.
Con lui se ne va non soltanto il giornalista - forse il migliore di tutti i tempi, assieme a quel mostro sacro che era Indro Montanelli -, bensì un orizzonte di esperienze, valori e speranze che appartengono a tutti noi, poichè innati nel popolo italiano, ancorati alla sua cultura e alla sua storia.

L'amico di sempre, il cardinale Ersilio Tonini, lo ha ricordato in occasione della puntata commemorativa di Annozero con un'intensità tale che mi sarà impossibile raggiungere.
Le sue parole e la sua commozione sono dentro di me.

He was there

giovedì 1 novembre 2007

Una montagna che cade

Ho trascorso l'ultimo fine settimana a Longarone.

Longarone è uno dei paesi che il 9 ottobre 1963 vennero travolti dall'onda che tracimò dalla diga del fiume Vajont. Una delle più gravi catastrofi che investirono il nostro Paese nel secolo passato, figlia degli interessi di uomini senza scrupoli.
Quasi 2000 morti. Ma non sapremo mai quanti realmente siano stati, poichè ancora oggi, a distanza di oltre quarant'anni, gli scavi portano alla luce nuovi cadaveri e disseppelliscono ricordi che si vogliono tenere lontani.
Con me c'erano altre 18 persone, per quella che ad oggi considero l'esperienza più intensa e coinvolgente che mi abbia dato il Gruppo MeetUp. Forse una delle più importanti della mia vita.
E' un privilegio far parte di un gruppo di persone in grado di darti emozioni del genere.

A farci da guida Mario, un sopravvissuto alla strage. All'epoca aveva 23 anni. Lavorava all'estero. La notizia dello sterminio della sua famiglia - padre, madre, fratello e sorella dispersi - lo raggiunse per telefono.
Una persona che ha perso tutto. Ma non la voglia di vivere. E di ricordare, a futura memoria, affinchè orrori di tale gravità non accadano mai più. Perchè l'interesse e la negligenza non siano più causa di simili amenità.

Abbiamo ascoltato le sue parole in rispettoso silenzio. Quanto fosse emozionante trovarsi lì lo si percepiva soprattutto da quei silenzi. Era l'unico modo per sentirci più vicini al suo immane dolore.
Talvolta mi ritrovavo a pensare quanta disperazione doveva aver provato quando il suo treno sbucò nella piana, due giorni dopo il disastro. Chissà quale sofferenza, a vedere quel paesaggio lunare che una volta recava in grembo il paese in cui era vissuto.
La gola che si stringe mentre comprendi di essere rimasto solo al mondo.
Nel mio cuore ho pianto con lui.

Dicono che ho una fervida immaginazione.
Ho provato ad immaginare il rumore di una montagna che cede di schianto e cade in una valle piena di acqua, facendo levare in cielo un'onda che di lì a pochi minuti si porterà via i ricordi, i rimpianti e le speranze di migliaia di vite umane.
Non ci sono riuscito.

I segni della catastrofe ci sono ancora tutti e sono chiari e comprensibili, per cui non è difficile credere che quella sera l'inferno sia sceso sulla terra.
E' impossibile immaginarne le proporzioni, questo sì. Ma a tratti alcuni piccoli particolari sembrano fartela proprio vedere, l'ecatombe.
C'è un'istantanea, nella mia mente, che credo porterò sempre con me. Da sola serve a spiegare la debordante violenza dell'acqua. Nella fotografia che allego sotto non credo venga resa l'idea.
Provo a spiegare.

Quella che si vede è una delle pareti della gola all'esterno della valle del Vajont.
A sinistra, fuori dall'inquadratura, c'è la diga.
A destra il restringimento dà sulla piana di Longarone.
Quando ci è stata raccontata la storia di quella parete di montagna il sangue mi si è gelato nelle vene.
L'erosione, come si può notare, è a forma di onda. Quel pezzo di montagna se l'è portato via l'onda che scavalcò la diga per lanciarsi poi su Longarone. Ha smosso quelle rocce come fossero sassolini.
Non credo ci siano parole in grado di spiegare come mi sono sentito nell'istante in cui ho realizzato di cosa si trattava.
E' il senso di un'immane disperazione che ti colpisce come una scarica elettrica lungo tutto il corpo. E' un po' come sentire il cuore che non batte più nel petto. E quando provi a chiederti perchè ti ritrovi a piangere. Ma sai già che la risposta non arriverà mai.

Ringrazio i miei compagni d'avventura.
Da ognuno di loro ho ricevuto altri tasselli per costruire il mosaico della mia vita.
Giulia, Alessio ed Elena;
Jenny e Daniele;
Francesca e Alberto;
Andrea, Luca e Giacomo;
Gloria e le sue figlie, con coppia di amici al seguito;
Roberta e Fabio.
Grazie a tutti voi, ragazzi.

E grazie di cuore a Mario. La sua disponibilità nei nostri confronti è stata sconfinata, di una squisitezza sublime. A tratti non riusciva a contenere l'emozione.
"La vostra presenza è stata per me la gioia più grande", ci ha detto.
Non credo di essere mai stato così fiero di appartenere a questo Gruppo così come in quel momento.

P.s.
Per quanti di voi leggeranno ciò che ho scritto, vi prego, non dimenticate.

Adrian was there

martedì 16 ottobre 2007

Chi siamo e perchè non siamo altro

Siamo quelli che non vogliono saperne più di guardare un cielo le cui nuvole sono tutte ferme. Siamo l'unica nuvola di questo cielo che è stanca di rimanere immobile. Siamo il vento che la farà correre e con lei anche le altre, una ad una.
Siamo quelli che non osano mettere piede in un mare senza onde. Siamo quelli che il piede lo metteranno solo per provocarle, le onde.
Siamo il sussurro di un tempo che è stato, il lamento di ciò che respiriamo e il ruggito di un cuore infranto che risorgerà di nuova luce. Siamo il tempo che vogliamo sia.
Siamo il virus che viene iniettato come cura.
Siamo lo sguardo di un bambino dinnanzi ad un enorme barattolo di cioccolata.
Siamo coloro che più dei nemici avranno paura degli amici.
Siamo ovunque, ma non lo sappiamo. Siamo dentro ogni cosa ed essere vivente di questo mondo, nel cuore, negli occhi, nell'anima.
Siamo quelli che dopo tanto guardar fuori hanno trovato il coraggio di guardarsi dentro.
Siamo stanchi. Siamo stanchi di tutto questo assordante silenzio, stanchi che la nostra voce si perda nel vuoto. Stanchi di vivere senza vita. Stanchi che ci venga detto cosa fare, come farlo, dove e quando farlo. Siamo stanchi che non ci venga detto perché. Siamo stanchi di dovercelo chiedere sempre, il perché. Siamo stanchi di prenderlo in quel posto. Siamo stanchi di porci domande e risponderci da soli. Stanchi di commiserarci, di piangere lacrime anche per chi non ne ha più. Stanchi di non poter decidere per chi valga la pena lottare, soffrire, ridere, urlare, perdonare. Siamo stanchi di vivere come Alice in un Paese che di Meraviglie ne ha perdute tante. Stanchi del silenzio cui siamo costretti da troppo tempo, ormai.
Siamo istintivi, passionali, sinceri, leali, veri.
Siamo animali. Siamo animali irrequieti, che si aggirano nel mondo in cerca di qualcosa che li faccia sentire ancora più vivi.
Siamo nati per esserlo, ma anche per diventarlo.
Non siamo qui per cambiare il mondo. Siamo qui per cambiare le persone che stiamo diventando.

Adrian was there

giovedì 27 settembre 2007

Adrian Was There

Adrian era lì
in partenza, per il suo viaggio
il percorso senza luce nè ombra
nel quale ogni individuo si addentra
chiedendosi, fino alla fine
quando gli è stato concesso di scegliere

Adrian c'era,
per coloro che gli han dato vita
con un amore più grande di tutte le incertezze
coltivato, nutrito, accompagnato,
mai lasciato solo, nemmeno per un istante
l'istante in cui ci si chiede il perchè di un'esistenza
e nei loro occhi la risposta

Adrian era lì
per i compagni di un tempo che è stato
e che per sempre sarà
fratelli, non di sangue ma di pensiero, coraggio, lealtà
fratelli nel cuore, nella mente
per i quali vivere è donare sè stessi
senza riserve, nè attesa

Adrian era sempre lì
per lei, soltanto lei
in una notte di fine estate
le stelle, il mare
il vento
piccole gocce d'acqua sui loro volti
e brezza di sale
nel bacio più intenso, la pelle lieve
l'abbraccio forte, vigoroso, di chi non vuole allontanarsi
prima di riaprire gli occhi
e scoprire di aver perduto la sua verde rugiada
nelle lacrime e nei sospiri
di rimpianti senza domani

Adrian c'era
per quegli occhi che hanno visto
per le mani che han sfiorato
per le voci che hanno urlato
e taciuto per rispetto
Adrian era lì
per le scelte mai comprese
per ricordi che sorridono
in memorie mai sepolte
per speranze che hanno atteso
per pensieri che hanno osato
per il sole che li culla
là, nel mare più profondo
per la voglia di cambiare
e il desiderio di volare
Adrian c'era

e per sempre ci sarà