giovedì 1 novembre 2007

Una montagna che cade

Ho trascorso l'ultimo fine settimana a Longarone.

Longarone è uno dei paesi che il 9 ottobre 1963 vennero travolti dall'onda che tracimò dalla diga del fiume Vajont. Una delle più gravi catastrofi che investirono il nostro Paese nel secolo passato, figlia degli interessi di uomini senza scrupoli.
Quasi 2000 morti. Ma non sapremo mai quanti realmente siano stati, poichè ancora oggi, a distanza di oltre quarant'anni, gli scavi portano alla luce nuovi cadaveri e disseppelliscono ricordi che si vogliono tenere lontani.
Con me c'erano altre 18 persone, per quella che ad oggi considero l'esperienza più intensa e coinvolgente che mi abbia dato il Gruppo MeetUp. Forse una delle più importanti della mia vita.
E' un privilegio far parte di un gruppo di persone in grado di darti emozioni del genere.

A farci da guida Mario, un sopravvissuto alla strage. All'epoca aveva 23 anni. Lavorava all'estero. La notizia dello sterminio della sua famiglia - padre, madre, fratello e sorella dispersi - lo raggiunse per telefono.
Una persona che ha perso tutto. Ma non la voglia di vivere. E di ricordare, a futura memoria, affinchè orrori di tale gravità non accadano mai più. Perchè l'interesse e la negligenza non siano più causa di simili amenità.

Abbiamo ascoltato le sue parole in rispettoso silenzio. Quanto fosse emozionante trovarsi lì lo si percepiva soprattutto da quei silenzi. Era l'unico modo per sentirci più vicini al suo immane dolore.
Talvolta mi ritrovavo a pensare quanta disperazione doveva aver provato quando il suo treno sbucò nella piana, due giorni dopo il disastro. Chissà quale sofferenza, a vedere quel paesaggio lunare che una volta recava in grembo il paese in cui era vissuto.
La gola che si stringe mentre comprendi di essere rimasto solo al mondo.
Nel mio cuore ho pianto con lui.

Dicono che ho una fervida immaginazione.
Ho provato ad immaginare il rumore di una montagna che cede di schianto e cade in una valle piena di acqua, facendo levare in cielo un'onda che di lì a pochi minuti si porterà via i ricordi, i rimpianti e le speranze di migliaia di vite umane.
Non ci sono riuscito.

I segni della catastrofe ci sono ancora tutti e sono chiari e comprensibili, per cui non è difficile credere che quella sera l'inferno sia sceso sulla terra.
E' impossibile immaginarne le proporzioni, questo sì. Ma a tratti alcuni piccoli particolari sembrano fartela proprio vedere, l'ecatombe.
C'è un'istantanea, nella mia mente, che credo porterò sempre con me. Da sola serve a spiegare la debordante violenza dell'acqua. Nella fotografia che allego sotto non credo venga resa l'idea.
Provo a spiegare.

Quella che si vede è una delle pareti della gola all'esterno della valle del Vajont.
A sinistra, fuori dall'inquadratura, c'è la diga.
A destra il restringimento dà sulla piana di Longarone.
Quando ci è stata raccontata la storia di quella parete di montagna il sangue mi si è gelato nelle vene.
L'erosione, come si può notare, è a forma di onda. Quel pezzo di montagna se l'è portato via l'onda che scavalcò la diga per lanciarsi poi su Longarone. Ha smosso quelle rocce come fossero sassolini.
Non credo ci siano parole in grado di spiegare come mi sono sentito nell'istante in cui ho realizzato di cosa si trattava.
E' il senso di un'immane disperazione che ti colpisce come una scarica elettrica lungo tutto il corpo. E' un po' come sentire il cuore che non batte più nel petto. E quando provi a chiederti perchè ti ritrovi a piangere. Ma sai già che la risposta non arriverà mai.

Ringrazio i miei compagni d'avventura.
Da ognuno di loro ho ricevuto altri tasselli per costruire il mosaico della mia vita.
Giulia, Alessio ed Elena;
Jenny e Daniele;
Francesca e Alberto;
Andrea, Luca e Giacomo;
Gloria e le sue figlie, con coppia di amici al seguito;
Roberta e Fabio.
Grazie a tutti voi, ragazzi.

E grazie di cuore a Mario. La sua disponibilità nei nostri confronti è stata sconfinata, di una squisitezza sublime. A tratti non riusciva a contenere l'emozione.
"La vostra presenza è stata per me la gioia più grande", ci ha detto.
Non credo di essere mai stato così fiero di appartenere a questo Gruppo così come in quel momento.

P.s.
Per quanti di voi leggeranno ciò che ho scritto, vi prego, non dimenticate.

Adrian was there

1 commento:

Elena ha detto...

Ciao Adrian.
Questa esperienza ha segnato anche me e credo che non lo dimenticherò mai. Mi piace molto stare in vostra compagnia non solo perchè mi diverto, ma anche perchè mi trovo con delle brave persone che sanno ciò che REALMENTE accade nel mondo e che fanno qualcosa per migliorarlo. Forse è anche per questo che mi trovo meglio con voi che con i miei contemporanei.
Ciao

Elena