giovedì 6 maggio 2010

Garatti, tornerò ad "aggiustare uomini" in Afghanistan. Forse

Martedì ho assistito alla registrazione della trasmissione "Il gusto del pallone", condotto da Marco Bencivenga per Brescia Punto Tv. Ospite in studio, fra gli altri, Marco Garatti, medico chirurgo di Emergency, arrestato in Afghanistan poco tempo fa sulla base di una slavina di stronzate. Ho scritto un articolo fac-simile, in attesa di poterne scrivere qualcuno in carta e ossa. Dalla regia mi suggeriscono di condividerlo con te, caro lettore.

Ps
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Garatti, tornerò ad "aggiustare
uomini" in Afghanistan. Forse
di Adriano Nitto
5/05/2010

«Papà salva la vita agli esseri umani. Quando non sono troppo rotti». Potrebbe rispondere così, l’erede che presto arriverà ad allietare la famiglia di Marco Garatti, a quanti in futuro chiederanno lumi circa l’attività del padre. Una professione, quella del medico chirurgo in zona di guerra - Sierra Leone, Eritrea e Cambogia alcune fra le sue destinazioni -, che l’esponente di Emergency ha già condensato efficacemente nel duro ed essenziale profilo di sé stesso: “aggiusto pezzi di uomini”. Ma i pezzi che vanno aggiustati, adesso, sono quelli di un puzzle ancora incerto nella sua definizione. Ricostruire quanto accaduto a Lashkar Gah, in Afghanistan, non è semplice.
Ieri sera ci hanno provato Anna Cordini, coordinatrice del gruppo Emergency di Brescia, e Andrea Bartoli, medico e vicepresidente dell’associazione Camper Emergenza, in occasione di una puntata de “Il gusto del Pallone”, condotta da Marco Bencivenga su Brescia Punto Tv. Ospite d’eccezione, il medico bresciano da oltre undici anni in forza alla ONG fondata da Gino Strada. Che dedica sin da principio un elogio alla madre: «è nel volontariato da diverso tempo e dieci anni fa ha capito subito la mia scelta di fare medicina in modo un po’ diverso».
Quale sia questo modo “un po’ diverso” è presto detto. «Curo qualcuno senza preoccuparmi di chi egli sia», afferma Garatti, in risposta all’«imbarbarimento morale che negli ultimi anni ci ha portato ad individuare categorie sociali di uomini che non hanno il diritto di essere curati» e a considerare «loro complice chiunque li curi».
L’appello è chiaro: «dobbiamo reagire». Ed Emergency lo fa nella maniera più semplice: curare senza discriminazioni. Un approccio etico universale, tuttavia mal visto da chi quella guerra la combatte non con i bisturi, ma con le armi. Governo afghano, Alleanza del Nord e forze internazionali da una parte, talebani dall’altra. Una «guerra terribile, brutale e senza fronte», che vede l’ideologia talebana «fortemente radicata nella cultura e nelle tradizioni afghane». Basti pensare agli «abusi nei confronti delle donne, frequenti anche in zone non controllate dai talebani, bensì dall’Alleanza del Nord, come Kabul o la valle del Panjshir».
Il chirurgo bresciano indossa soltanto una felpa. La sensazione è che sia appena uscito da una sala operatoria e tra un intervento e l’altro ci stia concedendo un po’ del suo prezioso tempo. Gli occhi sono quelli di chi ha visto la morte diventare una compagna di viaggio quasi quotidiana. Ma il sincero sorriso che offre è prova che non ne è diventato succube, ed anzi mantiene vivo l’impegno di combattere «qualsiasi forma di violenza», per dirla alla Gino Strada.
Lo hanno accusato di aver intascato soldi grazie al rapimento del giornalista Daniele Mastrogiacomo, di essere stato responsabile di un attentato suicida, «addirittura di tagliare mani e piedi ai poliziotti afghani». In molti vi hanno visto un risentimento nemmeno tanto velato da parte dei servizi segreti locali nei confronti dell’attività umanitaria - e di mediazione - di Emergency. Con tali premesse, il «fantomatico» ritrovamento delle armi nell’ospedale di Lashkar Gah, era diventato «una cosa secondaria». Un atto che pareva «pianificato» per obiettare ben altro, a detta di Garatti. Quasi «ce l’avessero con noi, con me, forse perché ero il responsabile del progetto di Emergency in Afghanistan». E il pensiero vola al suo ruolo di “testimone scomodo”, che ha sempre denunciato i morti civili provocati sia dai talebani che dall’Alleanza del Nord. «La nostra attività di testimonianza è fondamentale», dichiara, perché «se l’opinione pubblica sa quello che sta succedendo, è possibile che di feriti e morti ce ne siano sempre di meno».
Intanto, fuori da Lashkar Gah, le cose non sono cambiate. Nel Panshjir e a Kabul, «dove quello di Emergency è l’unico ospedale di tutto l’Afghanistan dotato di un reparto di terapia intensiva», l’attività di assistenza sanitaria non è stata interrotta. Emergency c’è ancora.
I 9 giorni di detenzione Garatti li ha trascorsi in cella di isolamento, così anche gli altri due italiani reclusi (Matteo Pagani e Matteo Dell’Aira). Non ha mai conosciuto i capi di imputazione ufficiali né gli sviluppi del caso. «Non avevo accesso ai media, quindi non ho potuto cogliere le polemiche» sulla posizione del nostro Governo, dice, ed anzi riconosce il «buon lavoro svolto dalla diplomazia italiana», con la quale Emergency ha sempre condiviso - anche se non concordato - la scelta di «non richiedere la liberazione semplicemente perché eravamo italiani, bensì perché innocenti, nel rispetto delle nostre garanzie». Liberi perché innocenti. «E così è stato».
Poi c’è il ruolo delle istituzioni bresciane. «Silenti», le ha definite Anna Cordini. «Ho scritto una lettera al sindaco Paroli e al Presidente del Consiglio Provinciale», ricorda Bartoli, per condannarne l’inattività e «il silenzio più assoluto fino al giorno della liberazione». Un atteggiamento, secondo Cordini, ben distante dall’affetto e la vicinanza dimostrata dai cittadini, che «hanno risposto in modo eccezionale» alla mobilitazione.
Ora è tempo di chiedersi cosa accadrà. Un collaboratore afghano di Emergency presso Lashkar Gah è ancora agli arresti - gli altri cinque sono stati rilasciati -, e l’associazione si è assunta l’onere di garantire assistenza legale. «Abbiamo chiesto che le indagini continuino», prosegue Garatti, «ci sono fascicoli aperti dalle procure di Brescia e Roma per il reato di calunnia nei nostri confronti». E il futuro “padre” Marco Garatti che farà, adesso? «Tornerai in Afghanistan?», gli domanda Bencivenga. «Non lo so», replica, «mi spiacerebbe lasciare l’Afghanistan in questo momento perché vorrebbe dire che tutte le forze di cui abbiamo detto hanno vinto. Sarebbe un po’ una sconfitta». Niente progetti, dunque, «sto soltanto cercando di recuperare un po’da un punto di vista mentale, devo ricaricarmi».
E quale migliore occasione per ricaricarsi, dell’evento organizzato da Emergency di Brescia per venerdì 8 maggio, in onore del chirurgo bresciano? L’appuntamento è presso il Palabrescia a partire dalle ore 21. L’incasso - 10 euro l’ingresso - sarà devoluto ai progetti di Emergency.

Adrian was there

2 commenti:

Massimo IDRA ha detto...

Penso che la libertà stia nel dire quello che si pensa anche se si crede, così facendo, di perdere la possibilità di diventare qualcuno o di avere di più. Se invece si sceglie di tacere ci si autocondanna alla eterna infelicità di essersi resi prigionieri con le proprie mani.

SilviaZ ha detto...

Mentre leggevo ho dimenticato di essere su un blog... questo è giornalismo. Questo è scrivere.
Bravò!