Alcuni lettori - probabile si fingano tali per infondermi un minimo di soddisfazione - mi fanno notare che dovrei aggiornare il mio blog un po' più spesso, concentrando maggiormente in questo spazio le parole che spargo in giro per il web.
Bene. Oggi riprendo un commento. L'ho scritto in seguito alla serata d'accoglienza promossa lo scorso 22 ottobre dal Meetup Amici di Beppe Grillo di Brescia, gruupo di "sovversivi" che prendono spunto dal comico genovese per parlare di sentimenti, idee, futuro. C'erano molti volti nuovi. Gran parte di questi ha richiesto attenzione per dire qualcosa, farsi ascoltare.
Il contesto è quello di un'attività di volontariato. Ma, sinceramente, credo possa valere in qualsiasi luogo e tempo di questa vita, e per qualsiasi essere umano in cerca di libertà.
La scorgevamo negli occhi di tutti, nessuno escluso. Quella luce, quei riflessi, è impossibile non riconoscerli. Dopo un po' ci fai l'abitudine. La prima volta che abbiamo avvicinato il Meetup ce l'avevamo tutti, quella luce negli occhi. È l'insofferenza. La rabbia covata in grembo come un cancro. «Non ce la faccio più. Questo nulla mi sta stuprando l'anima». Ti senti nudo, spogliato dei tuoi valori. Offeso, delegittimato, impotente. Violentato. E senza stimoli a reagire. Perchè in quelle stanze, quelle in cui la schiena si piega al potere, il nulla non è solo in chi urla, ma anche in chi gli risponde, e fa eco. La nausea è tremenda, ogni volta che accendi la tv o leggi un giornale. Il tanfo è diventato ambiente. La paura una gabbia dalla quale limitarsi ad osservare. Una finestra sul mondo, ma con le grate.
Eppure vorresti solo essere felice. Stare bene, con gli altri e con te stesso. Non chiedi di più. Un motivo per tornare a sorridere, senza pregiudizi, nè timori reverenziali. Vuoi parlare di idee, non di interessi. Vuoi condividere esperienze, non giudicare gli altri. Hai bisogno di colore per guardare al futuro, costruirlo, viverlo fin d'ora. Ecco perchè sei qui. Arrivi perchè senti che è giunto il tuo momento. Il momento di muoversi e fare qualcosa. «Eccomi qui. In questo mondo esisto anche io. Contatemi». Arrivi e la domanda è sempre la stessa. «Cosa posso fare?». Sei nell'istante in cui la tua sensibilità e forza interiore rappresentano un tesoro di inestimabile valore. Un tesoro che illumina volti semplici, voci naturali, gesti spontanei, umane insicurezze. Stai respirando un'atmosfera diversa, in cui la passione civile scorre e ribolle come sangue nelle vene. Ti riavvicini alla vita, forse quella che non hai mai vissuto. Un errore, andarsene se l'attesa è tradita. Tornare e riprovarci è saggio, coraggioso. Solo il tempo e la frequenza ti diranno cosa puoi fare. Ciò che conta è crederci, ed esserci. Sempre.
Adrian was there
giovedì 4 novembre 2010
mercoledì 12 maggio 2010
Strane concezioni
Claudio Scajola, ex Ministro dello Sviluppo Economico che ha da poco scoperto di vivere in un mezzanino da 180 metri quadri con vista sul Colosseo senza sapere chi gliel'abbia pagato, non va a deporre dai giudici perchè «non ci sono le garanzie». Anche Sandro Bondi la pensa così, ma del film di Sabina Guzzanti. «Dileggia l'Italia», condanna. Per il Ministro dei Beni Culturali, quindi, niente Festival di Cannes. La scelta gli ha procurato la richiesta di dimissioni da parte di 100 autori del cinema italiano. Per qualche istante avrà sperato di poter contare sugli apprezzamenti di Jack Lang, ex-ministro della cultura francese, ma l'attuale "emissario speciale" del presidente Nicolas Sarkozy pare abbia ritenuto la decisione di Bondi sintomo di una «strana concezione della libertà». Fra i due mal garantiti, il terzo litiga. Si tratta di Luca Cordero di Montezemolo, che se la prende con le Ferrovie dello Stato per l'ora di ritardo maturata dal suo treno. In più era rosso e non c'era scritto "Ferrari". In tv, invece, si ha l'impressione che ci si possa confrontare senza traumi. Si parla di nucleare. E Chicco Testa dedica a Mario Tozzi un cordiale «ti spacco la faccia». Plaude lo sconfitto Massimo D'Alema, il quale vede il suo candido «vada a farsi fottere» indirizzato al condirettore de Il Giornale Alessandro Sallusti scalzato dal primo posto della speciale classifica intitolata "La televisione dell'amore". E di amore in questa giornata non si può dire che non ce ne sia stato. Come quello di alcuni ragazzi di Vicenza, che arrivano a contestare la rimozione di un'auto in divieto di sosta, perchè il bolide in questione è di Mario Balotelli, giocatore dell'Inter. Intanto prende corpo una nuova leggenda: Michael Jackson è vivo. Ha scritto un articolo per Bresciaoggi, firmandolo con il mio nome. Credo di avere un po' di sonno arretrato. Ma... vale la pena di andare a vederlo, questo Draquila?
giovedì 6 maggio 2010
Garatti, tornerò ad "aggiustare uomini" in Afghanistan. Forse
Martedì ho assistito alla registrazione della trasmissione "Il gusto del pallone", condotto da Marco Bencivenga per Brescia Punto Tv. Ospite in studio, fra gli altri, Marco Garatti, medico chirurgo di Emergency, arrestato in Afghanistan poco tempo fa sulla base di una slavina di stronzate. Ho scritto un articolo fac-simile, in attesa di poterne scrivere qualcuno in carta e ossa. Dalla regia mi suggeriscono di condividerlo con te, caro lettore.
Ps
Le foto sono opera del sottoscritto, e come tutte le altre presenti in questo blog sono soggette a licenza Creative Commons.
«Papà salva la vita agli esseri umani. Quando non sono troppo rotti». Potrebbe rispondere così, l’erede che presto arriverà ad allietare la famiglia di Marco Garatti, a quanti in futuro chiederanno lumi circa l’attività del padre. Una professione, quella del medico chirurgo in zona di guerra - Sierra Leone, Eritrea e Cambogia alcune fra le sue destinazioni -, che l’esponente di Emergency ha già condensato efficacemente nel duro ed essenziale profilo di sé stesso: “aggiusto pezzi di uomini”. Ma i pezzi che vanno aggiustati, adesso, sono quelli di un puzzle ancora incerto nella sua definizione. Ricostruire quanto accaduto a Lashkar Gah, in Afghanistan, non è semplice.
Ps
Le foto sono opera del sottoscritto, e come tutte le altre presenti in questo blog sono soggette a licenza Creative Commons.
Garatti, tornerò ad "aggiustare
uomini" in Afghanistan. Forse
di Adriano Nitto
5/05/2010
«Papà salva la vita agli esseri umani. Quando non sono troppo rotti». Potrebbe rispondere così, l’erede che presto arriverà ad allietare la famiglia di Marco Garatti, a quanti in futuro chiederanno lumi circa l’attività del padre. Una professione, quella del medico chirurgo in zona di guerra - Sierra Leone, Eritrea e Cambogia alcune fra le sue destinazioni -, che l’esponente di Emergency ha già condensato efficacemente nel duro ed essenziale profilo di sé stesso: “aggiusto pezzi di uomini”. Ma i pezzi che vanno aggiustati, adesso, sono quelli di un puzzle ancora incerto nella sua definizione. Ricostruire quanto accaduto a Lashkar Gah, in Afghanistan, non è semplice.
Ieri sera ci hanno provato Anna Cordini, coordinatrice del gruppo Emergency di Brescia, e Andrea Bartoli, medico e vicepresidente dell’associazione Camper Emergenza, in occasione di una puntata de “Il gusto del Pallone”, condotta da Marco Bencivenga su Brescia Punto Tv. Ospite d’eccezione, il medico bresciano da oltre undici anni in forza alla ONG fondata da Gino Strada. Che dedica sin da principio un elogio alla madre: «è nel volontariato da diverso tempo e dieci anni fa ha capito subito la mia scelta di fare medicina in modo un po’ diverso».
Quale sia questo modo “un po’ diverso” è presto detto. «Curo qualcuno senza preoccuparmi di chi egli sia», afferma Garatti, in risposta all’«imbarbarimento morale che negli ultimi anni ci ha portato ad individuare categorie sociali di uomini che non hanno il diritto di essere curati» e a considerare «loro complice chiunque li curi».
L’appello è chiaro: «dobbiamo reagire». Ed Emergency lo fa nella maniera più semplice: curare senza discriminazioni. Un approccio etico universale, tuttavia mal visto da chi quella guerra la combatte non con i bisturi, ma con le armi. Governo afghano, Alleanza del Nord e forze internazionali da una parte, talebani dall’altra. Una «guerra terribile, brutale e senza fronte», che vede l’ideologia talebana «fortemente radicata nella cultura e nelle tradizioni afghane». Basti pensare agli «abusi nei confronti delle donne, frequenti anche in zone non controllate dai talebani, bensì dall’Alleanza del Nord, come Kabul o la valle del Panjshir».
Il chirurgo bresciano indossa soltanto una felpa. La sensazione è che sia appena uscito da una sala operatoria e tra un intervento e l’altro ci stia concedendo un po’ del suo prezioso tempo. Gli occhi sono quelli di chi ha visto la morte diventare una compagna di viaggio quasi quotidiana. Ma il sincero sorriso che offre è prova che non ne è diventato succube, ed anzi mantiene vivo l’impegno di combattere «qualsiasi forma di violenza», per dirla alla Gino Strada.
Lo hanno accusato di aver intascato soldi grazie al rapimento del giornalista Daniele Mastrogiacomo, di essere stato responsabile di un attentato suicida, «addirittura di tagliare mani e piedi ai poliziotti afghani». In molti vi hanno visto un risentimento nemmeno tanto velato da parte dei servizi segreti locali nei confronti dell’attività umanitaria - e di mediazione - di Emergency. Con tali premesse, il «fantomatico» ritrovamento delle armi nell’ospedale di Lashkar Gah, era diventato «una cosa secondaria». Un atto che pareva «pianificato» per obiettare ben altro, a detta di Garatti. Quasi «ce l’avessero con noi, con me, forse perché ero il responsabile del progetto di Emergency in Afghanistan». E il pensiero vola al suo ruolo di “testimone scomodo”, che ha sempre denunciato i morti civili provocati sia dai talebani che dall’Alleanza del Nord. «La nostra attività di testimonianza è fondamentale», dichiara, perché «se l’opinione pubblica sa quello che sta succedendo, è possibile che di feriti e morti ce ne siano sempre di meno».
Intanto, fuori da Lashkar Gah, le cose non sono cambiate. Nel Panshjir e a Kabul, «dove quello di Emergency è l’unico ospedale di tutto l’Afghanistan dotato di un reparto di terapia intensiva», l’attività di assistenza sanitaria non è stata interrotta. Emergency c’è ancora.
I 9 giorni di detenzione Garatti li ha trascorsi in cella di isolamento, così anche gli altri due italiani reclusi (Matteo Pagani e Matteo Dell’Aira). Non ha mai conosciuto i capi di imputazione ufficiali né gli sviluppi del caso. «Non avevo accesso ai media, quindi non ho potuto cogliere le polemiche» sulla posizione del nostro Governo, dice, ed anzi riconosce il «buon lavoro svolto dalla diplomazia italiana», con la quale Emergency ha sempre condiviso - anche se non concordato - la scelta di «non richiedere la liberazione semplicemente perché eravamo italiani, bensì perché innocenti, nel rispetto delle nostre garanzie». Liberi perché innocenti. «E così è stato».
Poi c’è il ruolo delle istituzioni bresciane. «Silenti», le ha definite Anna Cordini. «Ho scritto una lettera al sindaco Paroli e al Presidente del Consiglio Provinciale», ricorda Bartoli, per condannarne l’inattività e «il silenzio più assoluto fino al giorno della liberazione». Un atteggiamento, secondo Cordini, ben distante dall’affetto e la vicinanza dimostrata dai cittadini, che «hanno risposto in modo eccezionale» alla mobilitazione.
Ora è tempo di chiedersi cosa accadrà. Un collaboratore afghano di Emergency presso Lashkar Gah è ancora agli arresti - gli altri cinque sono stati rilasciati -, e l’associazione si è assunta l’onere di garantire assistenza legale. «Abbiamo chiesto che le indagini continuino», prosegue Garatti, «ci sono fascicoli aperti dalle procure di Brescia e Roma per il reato di calunnia nei nostri confronti». E il futuro “padre” Marco Garatti che farà, adesso? «Tornerai in Afghanistan?», gli domanda Bencivenga. «Non lo so», replica, «mi spiacerebbe lasciare l’Afghanistan in questo momento perché vorrebbe dire che tutte le forze di cui abbiamo detto hanno vinto. Sarebbe un po’ una sconfitta». Niente progetti, dunque, «sto soltanto cercando di recuperare un po’da un punto di vista mentale, devo ricaricarmi».
E quale migliore occasione per ricaricarsi, dell’evento organizzato da Emergency di Brescia per venerdì 8 maggio, in onore del chirurgo bresciano? L’appuntamento è presso il Palabrescia a partire dalle ore 21. L’incasso - 10 euro l’ingresso - sarà devoluto ai progetti di Emergency.
Adrian was there
martedì 27 aprile 2010
Non è la Rai - Intervista a Loris Mazzetti
Il mio lettore mi perdonerà se non ho ancora pubblicato la bella intervista che Loris Mazzetti, capostruttura di Raitre e collaboratore storico di Enzo Biagi (con il quale ha prodotto la trasmissione d'approfondimento Il Fatto) mi ha rilasciato. Lo faccio oggi.
Servizio pubblico, rapporto politica-televisione e informazione i temi che abbiamo affrontato assieme.
Servizio pubblico, rapporto politica-televisione e informazione i temi che abbiamo affrontato assieme.
Adrian was there
lunedì 26 aprile 2010
25 aprile, Brescia e le sue donne cantano la Liberazione
Sono tutte donne, quelle che reggono lo striscione sul quale campeggia la scritta “Vogliamo ancora essere di sana e robusta Costituzione”, nel corteo di uomini, divise, pennacchi, stendardi e gonfaloni che si muove a depositare le corone in prossimità dei monumenti ai Caduti. E donna è l’autrice dell’intervento più intenso ed emozionante di questo 25 aprile.
È Agape Nulli, staffetta partigiana delle Fiamme Verdi, donna coraggiosa che il tempo pare aver reso immortale, nella dignità che traspare dalla sua voce fiera e colma d’orgoglio. «Ricordo a tutte le “ragazze” di questa piazza, con i capelli bianchi e neri, che c’eravamo anche noi. Senza di noi non ci sarebbe stata la Resistenza», incita dal palco allestito in Piazza Loggia, luogo cittadino per eccellenza deputato alla conservazione della memoria. «Dieci donne per ogni partigiano, che correvano per portare armi, rifornimenti, cibo, medicinali», aggiunge, con la quiete e la fermezza di chi ha vissuto gli orrori più inenarrabili e li ha fatti propri per una missione di conoscenza. Diffonde la testimonianza del partigiano detto “Poldo”, che in una lettera a sua madre le comunicava che dalle montagne «presto verremo giù, mamma, e vedrai che uomini giusti saremo». Non ha fatto in tempo, è stato fucilato a Montirone, come tanti altri che «con commovente ed intensa umanità hanno affrontato la morte, con un coraggio che ha più significato di qualsiasi lezione di storia». Dichiara che «sulle tessere delle Fiamme Verdi abbiamo scritto le parole Libertà e Responsabilità», per celebrare il grande gesto di disinteresse e generosità compiuto dai partigiani nel rifiutare il potere conquistato in seguito alla Liberazione. «Non è arrendersi, ma cedere con lealtà quel potere che oggi tiene ancorati alle poltrone». Nel lungo applauso che segue pare svanire anche la polemica accennata dalla manifestazione separata indetta da COBAS, Rifondazione Comunista, Rete Antifascista, associazione Diritti per Tutti e altre realtà locali. Ed è proprio l’assenza di contestazioni, quest’anno, a conferire alla Festa la sua giusta dimensione di libertà egualitaria. Chiarezza ed efficacia vanno riconosciute anche al discorso del Sindaco Adriano Paroli, che ha riscosso unanimi consensi e lieta approvazione. Parole, le sue, espresse «in tempi di grave crisi economica» e dedicate alla vicinanza del 25 aprile ad un’altra importante ricorrenza. «Due sono le commemorazioni che oggi costituiscono il nostro essere cittadini: il Giorno della Liberazione e la Giornata dei Lavoratori». Il riferimento è più che mai esplicito: la Liberazione, nella «ritrovata libertà e centralità del lavoro», è evocata nel primo articolo della Costituzione della Repubblica Italiana, che recita “L’italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro”.
Altro acclamato protagonista è stato l’On. Fabiano De Zan, anch’egli partigiano, che ha consegnato ai cittadini un’orazione civile densa di fiera emozione, condivisa ampiamente da Manlio Milani, presidente dell’Associazione familiari vittime della Strage. Preoccupato del rischio, oggi, che «la commemorazione diventi un rito obbligato, sbiadito, sfocato», il senatore ha invitato a non scadere nella retorica, a «non dimenticare l’abisso e l’abiezione, il tributo dei sacrifici umani e l’eredità tramandata dalle lettere dei condannati a morte», nelle cui parole «non riecheggia mai la vendetta, ma ricorre sempre il perdono». La Resistenza, ha proseguito, è stata una «rivolta morale dal carattere patriottico e nazionale, e non un cambio opportunistico di campo. Un atto di accusa perenne contro tutte le forme di violenza, e solo grazie ad essa abbiamo conquistato il diritto di chiamarci Italiani». La Costituzione della Repubblica ne «è il frutto più maturo», asserisce, richiamandone l’esclusività nelle parole di un grande padre costituente, Piero Calamandrei: «Questa non è una carta morta: questo è un testamento, il testamento di 100.000 morti». La Costituzione come dottrina di saggezza e moralità, dunque, che all’art.11 esprime «il rifiuto pregiudiziale della guerra, e lo fa con una nettezza che non ha riscontro con le altre Costituzioni europee». È quindi «con orgoglio», conclude, «che diciamo: chi ha compiuto 65 anni non ha mai conosciuto guerre». Perché «La grandezza della Patria non si misura dall’estensione dei suoi confini, ma dal grado di lealtà e giustizia che sa trasmettere».
Lino Pedroni, presidente provinciale dell’ANPI, prima di chiudere con l’appassionato canto corale del brano “Bella ciao”, ha invitato tutti ad assolvere il compito più importante, «tramandare il senso del sacrificio ai giovani e far capire che la libertà è un valore importante».
Nel Giorno della Liberazione, gli scontri dell’anno scorso sembrano un ricordo, distanti dalla pacifica accoglienza vista ieri. C’era solo Brescia, con i suoi cittadini, che ha saputo rispondere egregiamente all’appello del Presidente Napolitano: «Unità».
Adrian was there
È Agape Nulli, staffetta partigiana delle Fiamme Verdi, donna coraggiosa che il tempo pare aver reso immortale, nella dignità che traspare dalla sua voce fiera e colma d’orgoglio. «Ricordo a tutte le “ragazze” di questa piazza, con i capelli bianchi e neri, che c’eravamo anche noi. Senza di noi non ci sarebbe stata la Resistenza», incita dal palco allestito in Piazza Loggia, luogo cittadino per eccellenza deputato alla conservazione della memoria. «Dieci donne per ogni partigiano, che correvano per portare armi, rifornimenti, cibo, medicinali», aggiunge, con la quiete e la fermezza di chi ha vissuto gli orrori più inenarrabili e li ha fatti propri per una missione di conoscenza. Diffonde la testimonianza del partigiano detto “Poldo”, che in una lettera a sua madre le comunicava che dalle montagne «presto verremo giù, mamma, e vedrai che uomini giusti saremo». Non ha fatto in tempo, è stato fucilato a Montirone, come tanti altri che «con commovente ed intensa umanità hanno affrontato la morte, con un coraggio che ha più significato di qualsiasi lezione di storia». Dichiara che «sulle tessere delle Fiamme Verdi abbiamo scritto le parole Libertà e Responsabilità», per celebrare il grande gesto di disinteresse e generosità compiuto dai partigiani nel rifiutare il potere conquistato in seguito alla Liberazione. «Non è arrendersi, ma cedere con lealtà quel potere che oggi tiene ancorati alle poltrone». Nel lungo applauso che segue pare svanire anche la polemica accennata dalla manifestazione separata indetta da COBAS, Rifondazione Comunista, Rete Antifascista, associazione Diritti per Tutti e altre realtà locali. Ed è proprio l’assenza di contestazioni, quest’anno, a conferire alla Festa la sua giusta dimensione di libertà egualitaria. Chiarezza ed efficacia vanno riconosciute anche al discorso del Sindaco Adriano Paroli, che ha riscosso unanimi consensi e lieta approvazione. Parole, le sue, espresse «in tempi di grave crisi economica» e dedicate alla vicinanza del 25 aprile ad un’altra importante ricorrenza. «Due sono le commemorazioni che oggi costituiscono il nostro essere cittadini: il Giorno della Liberazione e la Giornata dei Lavoratori». Il riferimento è più che mai esplicito: la Liberazione, nella «ritrovata libertà e centralità del lavoro», è evocata nel primo articolo della Costituzione della Repubblica Italiana, che recita “L’italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro”.
Altro acclamato protagonista è stato l’On. Fabiano De Zan, anch’egli partigiano, che ha consegnato ai cittadini un’orazione civile densa di fiera emozione, condivisa ampiamente da Manlio Milani, presidente dell’Associazione familiari vittime della Strage. Preoccupato del rischio, oggi, che «la commemorazione diventi un rito obbligato, sbiadito, sfocato», il senatore ha invitato a non scadere nella retorica, a «non dimenticare l’abisso e l’abiezione, il tributo dei sacrifici umani e l’eredità tramandata dalle lettere dei condannati a morte», nelle cui parole «non riecheggia mai la vendetta, ma ricorre sempre il perdono». La Resistenza, ha proseguito, è stata una «rivolta morale dal carattere patriottico e nazionale, e non un cambio opportunistico di campo. Un atto di accusa perenne contro tutte le forme di violenza, e solo grazie ad essa abbiamo conquistato il diritto di chiamarci Italiani». La Costituzione della Repubblica ne «è il frutto più maturo», asserisce, richiamandone l’esclusività nelle parole di un grande padre costituente, Piero Calamandrei: «Questa non è una carta morta: questo è un testamento, il testamento di 100.000 morti». La Costituzione come dottrina di saggezza e moralità, dunque, che all’art.11 esprime «il rifiuto pregiudiziale della guerra, e lo fa con una nettezza che non ha riscontro con le altre Costituzioni europee». È quindi «con orgoglio», conclude, «che diciamo: chi ha compiuto 65 anni non ha mai conosciuto guerre». Perché «La grandezza della Patria non si misura dall’estensione dei suoi confini, ma dal grado di lealtà e giustizia che sa trasmettere».
Lino Pedroni, presidente provinciale dell’ANPI, prima di chiudere con l’appassionato canto corale del brano “Bella ciao”, ha invitato tutti ad assolvere il compito più importante, «tramandare il senso del sacrificio ai giovani e far capire che la libertà è un valore importante».
Nel Giorno della Liberazione, gli scontri dell’anno scorso sembrano un ricordo, distanti dalla pacifica accoglienza vista ieri. C’era solo Brescia, con i suoi cittadini, che ha saputo rispondere egregiamente all’appello del Presidente Napolitano: «Unità».
Adrian was there
martedì 30 marzo 2010
Scende la notte, brillano le stelle
L’astensionismo da record è un trauma difficile da somatizzare. Fa male e fa paura. È il disprezzo, urlato nel silenzio, per una classe politica vuota, che non ha più niente da dare, valori da insegnare, idee da proporre, futuro da costruire. È il disgusto per una materia organica in decomposizione, terreno fertile per mafie predatrici. È il fallimento di una e più generazioni, incapaci di umiltà, ancorate a ideologie che frenano idee e passioni, e restie ad assumersi la responsabilità dei propri errori. Per questo, il silenzio di un terzo dell'elettorato è un argomento da evitare. E in Italia è facile evitarlo. La soluzione è a portata di mano. L’innata battaglia tra “Destra” e “Sinistra” - efficace prodotto multiforme venduto al Paese dal piazzista di Arcore - è la scusa migliore per parlar d’altro. Quindi a sinistra ci si può indignare nei confronti di chi ha votato i ragazzi di Grillo “togliendo voti” al PD ed impedendogli di sconfiggere il “mostro” berlusconista di turno, ben sapendo che quegli stessi elettori non avrebbero mai alzato il culo da una sedia per uscire di casa e andare a votare PD, un partito che un giorno sì e l’altro pure elogia Craxi e sodomizza Berlinguer. A destra, invece, il PDL all’uranio impoverito di Fini regge solo per chi vuole illudersi. Regge l’onda d’urto di un PD miracolosamente ritrovatosi? No di certo, perché il vento di tempesta proviene dal suo principale alleato: rispetto al 2005, lo tsunami Lega raddoppia (si legga bene: raddoppia) i suoi elettori in Piemonte, Lombardia e Veneto, diventando in quest’ultima Regione il primo partito di riferimento. E proprio a Brescia si raggiunge il roboante primato: Renzo Bossi detto “Il trota”, figlio del Senatùr Umberto, due tonfi prima di passare l’esame di maturità al terzo tentativo, è il più votato. Risultato: si passa dal ko tecnico per 11-2 inflitto dal centrosinistra (quale sinistra?) al centrodestra (quale destra?) cinque anni fa al 7-6 maturato ieri. Un successo. Per il centrodestra (quale...?), chiaro.
Ovviamente a vincere non sono stati i temi, le proposte, i contenuti, i valori, ai quali non è stato riservato alcuno spazio in questa inesistente campagna elettorale. Il vero trionfatore si conosceva da tempo: l’insofferenza crescente degl’italiani. Che da una parte si è manifestata nel non andare a votare e dall’altra è stata sequestrata dalla strategia comunicativa e mediatica di un partito popolare - la Lega Nord - che ha saputo negli anni sostituirsi al vecchio Partito Comunista e perfino superare in maestria un imbonitore d’alta classe qual è Berlusconi. Come? Dosando sapientemente 1) le comparsate in tv, nei telegiornali e nei salotti televisivi, e 2) i presìdi nelle piazze e nelle fabbriche anche e soprattutto in periodi lontani dalle elezioni, intercettando così i malumori, fomentando le intolleranze, instillando nei cittadini la velata sensazione che il partito fosse (e sia) loro “vicino”. Ma per quanto nell’ignoranza possa fare breccia, la caccia al clandestino non sembra uno stimolo sufficiente a risollevare un Paese mai così a pezzi.
Intanto, le mafie si fregano le mani per gli importanti risultati maturati. «Ci siamo anche noi», sembrano sussurrare, sorridendo, dalle tribune bipartisan campane e calabresi. E fra i due litiganti che ogni due per tre si ritrovano d’amore e d’accordo, mentre Nichi Vendola al sud bussa alla porta del PD come al nord la Lega a quella del PDL e tutta Italia (quale Italia?) rimane con il fiato sospeso a seguire il testa a testa fra Emma Bonino e il Vaticano, la sorpresa arriva dal cielo di una notte di fine marzo. Le cinque stelle del Movimento lanciato da Beppe Grillo raccolgono consensi in tutti i collegi regionali in cui sono state presentate, fino a sfondare il 7% in Emilia Romagna. Il tutto con campagne elettorali finanziate con raccolte fondi, promosse da volontari con tanto di programma elettorale e oscurate da televisioni e giornali.
Scende la notte, brillano le stelle.
Adrian was there
Ovviamente a vincere non sono stati i temi, le proposte, i contenuti, i valori, ai quali non è stato riservato alcuno spazio in questa inesistente campagna elettorale. Il vero trionfatore si conosceva da tempo: l’insofferenza crescente degl’italiani. Che da una parte si è manifestata nel non andare a votare e dall’altra è stata sequestrata dalla strategia comunicativa e mediatica di un partito popolare - la Lega Nord - che ha saputo negli anni sostituirsi al vecchio Partito Comunista e perfino superare in maestria un imbonitore d’alta classe qual è Berlusconi. Come? Dosando sapientemente 1) le comparsate in tv, nei telegiornali e nei salotti televisivi, e 2) i presìdi nelle piazze e nelle fabbriche anche e soprattutto in periodi lontani dalle elezioni, intercettando così i malumori, fomentando le intolleranze, instillando nei cittadini la velata sensazione che il partito fosse (e sia) loro “vicino”. Ma per quanto nell’ignoranza possa fare breccia, la caccia al clandestino non sembra uno stimolo sufficiente a risollevare un Paese mai così a pezzi.
Intanto, le mafie si fregano le mani per gli importanti risultati maturati. «Ci siamo anche noi», sembrano sussurrare, sorridendo, dalle tribune bipartisan campane e calabresi. E fra i due litiganti che ogni due per tre si ritrovano d’amore e d’accordo, mentre Nichi Vendola al sud bussa alla porta del PD come al nord la Lega a quella del PDL e tutta Italia (quale Italia?) rimane con il fiato sospeso a seguire il testa a testa fra Emma Bonino e il Vaticano, la sorpresa arriva dal cielo di una notte di fine marzo. Le cinque stelle del Movimento lanciato da Beppe Grillo raccolgono consensi in tutti i collegi regionali in cui sono state presentate, fino a sfondare il 7% in Emilia Romagna. Il tutto con campagne elettorali finanziate con raccolte fondi, promosse da volontari con tanto di programma elettorale e oscurate da televisioni e giornali.
Scende la notte, brillano le stelle.
Adrian was there
mercoledì 3 marzo 2010
La strategia Rifiuti Zero - Intervista a Paul Connett
Pubblico l'intervento sulla strategia Rifiuti Zero del Prof. Paul Connett, docente emerito di chimica ambientale presso la St. Lawrence University di New York, ripreso dinnanzi all'inceneritore di Brescia.
Il mio lettore è consapevole del fatto che non so più chi devo ringraziare per avermi concesso la possibilità di conoscere questo straordinario essere umano.
Il mio lettore è consapevole del fatto che non so più chi devo ringraziare per avermi concesso la possibilità di conoscere questo straordinario essere umano.
Prima parte
Seconda parte
Adrian was theremercoledì 24 febbraio 2010
E addormentarmi, con il suo sapore sulle labbra
Quando ti svegli la mattina e non pensi ad altro che a lei, e la sera vai a letto con lo stesso pensiero, beh... c'è poco da fare. Sei suo, e di nessun'altra. Ogni cosa, attorno, si muove nel ricordo dell'ultimo bacio. E nella speranza che il prossimo venga prima di adesso. La vedi negli occhi delle persone, l’ascolti nelle loro voci, la percepisci accanto a te negl'istanti di solitudine, la respiri mentre cammini per strada in una giornata di sole. La porti con te, nel cuore, ovunque sei. A quel punto, oltre al sangue, nelle vene ti scorre anche lei. Ti è dentro, l’anima tua è divisa a metà, una appartiene a quella meravigliosa creatura. Poi, quando l’avvicini dopo un’interminabile attesa e forzata distanza, e l’abbracci, la stringi forte a te, e la tempesti di baci e carezze, e il suo profumo ti inebria muscoli e neuroni, il senso di leggerezza che provi è così intenso e placido che arrivi a pensare «ecco, prima di andarmene per sempre da questa terra, l’ultima cosa che voglio fare in vita è baciarla». E addormentarmi, con il suo sapore sulle labbra.
Adrian was there
Adrian was there
venerdì 22 gennaio 2010
Via Craxi a Brescia? No, grazie. A quando Piazza Borsellino?
Ho scritto per il Meetup una lettera "al Direttore", in merito alla proposta di dedicare una via a Bettino Craxi. La condivido con te.
Egregio Direttore,
in questi tempi di incontenibile entusiasmo e struggenti ricordi, pare che qualcuno abbia suggerito di dedicare una via della nostra città a Bettino Craxi, come già avvenuto di recente a Milano. Ci permettiamo di condividere con Lei alcune riflessioni e una contro-proposta.
Per trovare una via intitolata al giudice Paolo Borsellino, fatto saltare in aria dalla mafia con la scorta a Palermo il 19 luglio 1992, bisogna arrivare fino a Castenedolo, o Roncadelle, oppure ad Esine, in provincia di Brescia. In città non ve ne è traccia.
A Brescia evidentemente non c'è interesse a ricordare certi eroi. Meglio dare spazio ad altri ben più eroici soggetti. Come all’ex leader socialista, appunto, scomparso da latitante e con due condanne definitive per corruzione e finanziamento illecito, e protagonista recentemente di una sfiancante rivisitazione storica, nel decennale della morte, con tanto di impegno civile da parte del Capo dello Stato.
Dopo Milano, poteva dunque qualcuno esimersi dal proporre di intitolargli una via anche a Brescia? Certo che no. E “NO” è la risposta che rivolgiamo a questa proposta. Le ragioni sono molto semplici e gliele illustriamo in due punti.
1°. Si potrà anche affermare che Craxi qualcosa di buono per il Paese l'ha fatto. Tuttavia, la "Storia" alla quale ci si rifà spesso con così tanta veemenza per riabilitare i mascalzoni, ci comunica che nel biennio '92-'93 l'Italia affondò in un oceano di corruzione e di interessi privati tali da determinare una devastazione politica senza precedenti. La Storia, infatti, usa indicare quel periodo come una sorta di spartiacque, fra le cosiddette Prima e Seconda Repubblica. E pensare che la Prima Repubblica era riuscita a passarle indenne tutte: Guerra Fredda, Gladio, P2, il ’68, le stragi del terrorismo. Ma Tangentopoli no, l’onda d’urto delle mazzette fu troppo dirompente. La Storia ci dice che allora il rapporto debito-pil raggiunse livelli sconvolgenti: nel 1980 è al 60%, nel 1983 è al 70%, nel 1983-'87 (governo Craxi) raggiunge il 92%, fino ad arrivare al 118% nel 1992. L'Italia finì sul lastrico. La Storia ricorda il 16 settembre 1992 come il "mercoledì nero" della lira, che fu costretta ad uscire dal Sistema monetario europeo. Non c'erano i soldi per pagare i dipendenti pubblici. Il Governo Amato varò a fine anno una legge finanziaria da 92mila miliardi, di sole tasse. Non bastò neanche questo per risollevarci, tant'è che subito dopo arrivò il prelievo forzato del 6 per mille di tutti i conti in banca dei risparmiatori.
Questa è l'eredità che Craxi e tantissimi altri protagonisti della vita politica di allora ci hanno lasciato, prima di essere condannati, prescritti o di aver lasciato il Paese in fuga per non farsi giudicare. Ciò si tradusse nella più grande devastazione politica, culturale e sociale che l'Italia abbia mai subìto nel dopoguerra.
2°. I luoghi pubblici sono come le leggi. Sono "astratti", ovvero devono potersi rivolgere ed appartenere a chiunque, a tutti i cittadini senza distinzione di colore politico, ideologia o altro motivo discriminante. Devono, per la cura e l'estetica, per il valore condiviso che rappresentano e per i connotati storici di cui sono sani portatori, poter rendere fieri i cittadini di risiedere e muoversi nella propria città. Intitolare una via di Brescia (o altro luogo pubblico) a Craxi significherebbe indurre gran parte della cittadinanza bresciana a vivere la propria città con il cuore trafitto da una lancia. Perché quella parte della cittadinanza ha ancora ben chiaro, nella propria memoria, il desolante scempio che si fece della Prima Repubblica, e che oggi vede in Craxi non il massimo capro espiatorio e sommo colpevole, bensì un suo "semplice" corresponsabile, alla pari di tutti coloro (oltre 1.300 fra condanne e patteggiamenti, con assoluzioni nel merito per non più del 5%) che senza ritegno fecero un tale riprovevole abuso del bene pubblico e della rispettabilità internazionale del nostro Paese.
Alla luce di queste non troppo banali considerazioni, ci permettiamo di consegnare anche la nostra, di proposta: non intitolare alcuna via o piazza né luogo pubblico di qualsivoglia genere della città a Bettino Craxi. Né ora, né mai. La dedica, piuttosto, riserviamola a Paolo Borsellino. A nostro parere, e non solo, la merita da 18 anni. Come tanti altri veri eroi del suo rango.
Cordiali saluti,
Gruppo Meetup "Amici di Beppe Grillo di Brescia"
Adrian was there
Egregio Direttore,
in questi tempi di incontenibile entusiasmo e struggenti ricordi, pare che qualcuno abbia suggerito di dedicare una via della nostra città a Bettino Craxi, come già avvenuto di recente a Milano. Ci permettiamo di condividere con Lei alcune riflessioni e una contro-proposta.
Per trovare una via intitolata al giudice Paolo Borsellino, fatto saltare in aria dalla mafia con la scorta a Palermo il 19 luglio 1992, bisogna arrivare fino a Castenedolo, o Roncadelle, oppure ad Esine, in provincia di Brescia. In città non ve ne è traccia.
A Brescia evidentemente non c'è interesse a ricordare certi eroi. Meglio dare spazio ad altri ben più eroici soggetti. Come all’ex leader socialista, appunto, scomparso da latitante e con due condanne definitive per corruzione e finanziamento illecito, e protagonista recentemente di una sfiancante rivisitazione storica, nel decennale della morte, con tanto di impegno civile da parte del Capo dello Stato.
Dopo Milano, poteva dunque qualcuno esimersi dal proporre di intitolargli una via anche a Brescia? Certo che no. E “NO” è la risposta che rivolgiamo a questa proposta. Le ragioni sono molto semplici e gliele illustriamo in due punti.
1°. Si potrà anche affermare che Craxi qualcosa di buono per il Paese l'ha fatto. Tuttavia, la "Storia" alla quale ci si rifà spesso con così tanta veemenza per riabilitare i mascalzoni, ci comunica che nel biennio '92-'93 l'Italia affondò in un oceano di corruzione e di interessi privati tali da determinare una devastazione politica senza precedenti. La Storia, infatti, usa indicare quel periodo come una sorta di spartiacque, fra le cosiddette Prima e Seconda Repubblica. E pensare che la Prima Repubblica era riuscita a passarle indenne tutte: Guerra Fredda, Gladio, P2, il ’68, le stragi del terrorismo. Ma Tangentopoli no, l’onda d’urto delle mazzette fu troppo dirompente. La Storia ci dice che allora il rapporto debito-pil raggiunse livelli sconvolgenti: nel 1980 è al 60%, nel 1983 è al 70%, nel 1983-'87 (governo Craxi) raggiunge il 92%, fino ad arrivare al 118% nel 1992. L'Italia finì sul lastrico. La Storia ricorda il 16 settembre 1992 come il "mercoledì nero" della lira, che fu costretta ad uscire dal Sistema monetario europeo. Non c'erano i soldi per pagare i dipendenti pubblici. Il Governo Amato varò a fine anno una legge finanziaria da 92mila miliardi, di sole tasse. Non bastò neanche questo per risollevarci, tant'è che subito dopo arrivò il prelievo forzato del 6 per mille di tutti i conti in banca dei risparmiatori.
Questa è l'eredità che Craxi e tantissimi altri protagonisti della vita politica di allora ci hanno lasciato, prima di essere condannati, prescritti o di aver lasciato il Paese in fuga per non farsi giudicare. Ciò si tradusse nella più grande devastazione politica, culturale e sociale che l'Italia abbia mai subìto nel dopoguerra.
2°. I luoghi pubblici sono come le leggi. Sono "astratti", ovvero devono potersi rivolgere ed appartenere a chiunque, a tutti i cittadini senza distinzione di colore politico, ideologia o altro motivo discriminante. Devono, per la cura e l'estetica, per il valore condiviso che rappresentano e per i connotati storici di cui sono sani portatori, poter rendere fieri i cittadini di risiedere e muoversi nella propria città. Intitolare una via di Brescia (o altro luogo pubblico) a Craxi significherebbe indurre gran parte della cittadinanza bresciana a vivere la propria città con il cuore trafitto da una lancia. Perché quella parte della cittadinanza ha ancora ben chiaro, nella propria memoria, il desolante scempio che si fece della Prima Repubblica, e che oggi vede in Craxi non il massimo capro espiatorio e sommo colpevole, bensì un suo "semplice" corresponsabile, alla pari di tutti coloro (oltre 1.300 fra condanne e patteggiamenti, con assoluzioni nel merito per non più del 5%) che senza ritegno fecero un tale riprovevole abuso del bene pubblico e della rispettabilità internazionale del nostro Paese.
Alla luce di queste non troppo banali considerazioni, ci permettiamo di consegnare anche la nostra, di proposta: non intitolare alcuna via o piazza né luogo pubblico di qualsivoglia genere della città a Bettino Craxi. Né ora, né mai. La dedica, piuttosto, riserviamola a Paolo Borsellino. A nostro parere, e non solo, la merita da 18 anni. Come tanti altri veri eroi del suo rango.
Cordiali saluti,
Gruppo Meetup "Amici di Beppe Grillo di Brescia"
Adrian was there
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