martedì 14 giugno 2011

Il testamento elettorale

Al seggio elettorale li vedevi arrancare con fatica. Alcuni zoppicavano vistosamente, altri si accompagnavano con un bastone, una stampella. Poi prendevano le schede, e ancor più faticosamente entravano nella cabina. Votavano e se ne andavano. Nel silenzio dei loro movimenti, sembrava celato un nuovo testamento. «Domani potrei non esserci più. Questa è forse l’ultima cosa che faccio, adesso tocca a voi giovani».
Nell’istante in cui scrivo non so quale sia il rapporto giovani-anziani, fra gli elettori che si sono recati a votare in questa tornata di referendum. Mi limito a dire che nel microcosmo del seggio 912 della scuola elementare “Calini”, a Brescia, di anziani ne sono passati tanti. Nei seggi adiacenti si sono viste donne in sedie a rotelle sollevate di peso e trasportate a mano da 6 persone, perché gli elevatori bloccati impedivano di fare le scale. E quando una coppia ultranovantenne si è trascinata fino alla nostra postazione scoprendo di non aver portato con sé le tessere elettorali - non potendo quindi esprimere il proprio voto -, i nostri occhi non potevano lacrimare, ma il cuore piangeva sangue e bestemmie, maledicendo chi aveva tentato il tutto per tutto pur di impedire il democratico confronto.
Osservando quel costante viavai di anziani, l’impressione era quella dell’ultimo respiro. Del malato che prima di andarsene per sempre da questa terra riempie i suoi polmoni, concentra le ultime forze e si lascia andare all’ultimo, estremo saluto, o cenno, o testamento. Credo che in questi tre giorni sia accaduto qualcosa di meraviglioso. Qualcosa che ha vinto contro quella gran troia d’informazione che in questo Paese si sbatte chi ha più potere. Qualcosa che ha risvegliato sentimenti sopiti, o sepolti, traghettandoli per le infinite vie della rete, e delle piazze. È accaduto che lo zoccolo duro del Paese si è levato in piedi ancora una volta, forse l’ultima, in un impeto d’orgoglio, dignità e passione civile, per un passaggio di consegne epocale. Un messaggio trasmesso da chi ha vissuto le tragedie del passato come un’occasione per rialzarsi, a chi oggi ha disperatamente bisogno di quella stessa forza e speranza per guardare al futuro. Così il moderno messaggio in bottiglia ha viaggiato di scheda in scheda, man mano che da quelle cabine elettorali uscivano anziani ed entravano giovani. Forse è vero che l’età media di un Paese più vecchio che giovane non aiuta, ma quello zoccolo duro è ancora reattivo e in grado di rispondere ai richiami della democrazia. E chissà, alla luce del risultato di oggi, forse sta già conservando le forze per reagire un’altra volta. Poi un’altra. E un’altra ancora. Fino a quando di quello zoccolo non farà parte anche chi scrive. La chiamano coscienza civile, pare che per sopravvivere abbia bisogno di essere trasmessa di generazione in generazione. Con quali mezzi non è dato sapere, poichè l'evoluzione la costringe a maturare forme imprevedibili. Ad esempio quella di un foglio su cui segnare una voce piuttosto che un'altra, poi da ripiegare su stesso prima di inserirlo in un'urna.

Adrian was there

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